“Si fa fatica a capire perché una donna mite e conciliante come Liliana Segre abbia dovuto trascorrere l’intera vita a ripararsi dall’odio” – si domanda Massimo Gramellini stamane sul Corriere della Sera proseguendo – “gli ultimi a detestarla, in ordine di tempo, sono i no vax che le augurano la morte sui social. Ma che cos’ha mai fatto di male, la senatrice sotto scorta, oltre a mettersi in coda per il vaccino e indossare la mascherina come milioni di altri anziani giustamente preoccupati degli effetti di un virus che stava mandando molti di loro al Creatore? Non si sa”.
Ebbene forse è il caso che si sappia, e io ve lo dirò, con la stessa onestà con cui lo faccio sempre.
Onestamente non credo che il problema sia di “Liliana” e dei senza identità “no-vax”, termine peraltro già di per sé ghettizzante.
Il problema è che quando discrimini degli individui sulla base delle proprie opinioni politiche, personali e sociali stai ponendo in essere un comportamento che andrebbe scoraggiato all’interno della nostra società, non certo osannato, non certo sbandierato. Chiaramente non puoi aspettarti un ritorno d’amore quando semini odio e ancora odio intorno.
Questo non vuol dire che la stupida minaccia di morte, fatta via social, da un sempliciotto o fuori di testa, per cui vi è già una scorta ad hoc a scongiurare il peggio, sia giustificata, solo che, vista l’aria che tira, in cui tutti augurano la morte a tutti da oltre 2 anni, sia un gesto più che prevedibile, quasi azzarderei a dire, ahimè, ordinario.
La Segre, o Liliana come preferite, è tornata sull’argomento in più occasioni, utilizzando sempre lo stesso lessico: severo, rigido, punitivo.
Famosa la frase “Se uno vuole vedere il complottismo ovunque, beh resti a casa. Da solo. Non giri per le strade, non vada nel mondo, stiano a casa e non danneggino gli altri”, mentre questi, targati pseudo-complottisti, erano già tagliati fuori da qualsiasi attività pubblica e dalla possibilità di mantenere sé stessi e la propria famiglia, che dalle mie parti vuol dire ridotti in miseria.
Una perifrasi a significare forse “se hai un’idea diversa da quella socialmente apprezzata devi essere isolato e rinchiuso in casa, perché sei un complottista?”. Bah, non si sa, la donna dai capelli d’argento, non ha mai specificato cosa si intenda per “complottista”, “no vax”, e come e chi debba valutare colui che sarà escluso e per quanto tempo.
Inoltre, per tornare alla fattispecie concreta, la signora in questione non è un medico, tale da compiacersi delle proprie cognizioni e della pericolosità sociale dei temibili ribelli, peraltro smentita oggi dall’evidenza dei fatti, non una studiosa di quale che sia materia attinente all’esperienza del microbo; la sua è una posizione politica, un altoparlante di Stato, non quello dei diritti certamente, quello che abbiamo conosciuto in questi ultimi pandemici anni.
E un po’ di buon senso bisognerà pur recuperarlo, per bacco! Se vai in giro a dire, non a un “no-vax” senza identità, ma a Mario, medico sospeso, il quale magari ha anche rischiato la radiazione, obbligato a lasciare il suo posto di lavoro e i suoi pazienti, rimasto senza stipendio, bistrattato nella sua professione, escluso dalla società, impedito nella sua capacità di circolazione, a cui è vietato prendere un mezzo pubblico, entrare in un bar, far visita ai suoi cari, peraltro come 5 milioni di italiani, che saresti stato molto più severo, beh, qui c’è un problema, e molto serio.
Scegliendo di fomentare un clima di austerità e violenza, come quello di cui siamo stati tutti testimoni – anche in condizioni, dicono, di scampata estinzione di massa, ovvero a urgenza terminata, non saprei se per puro cinismo o semplice intransigenza – bando all’empatia, si sta scegliendo di non ricevere in cambio gratitudine. Da lei ci si sarebbe aspettati piuttosto una felicitazione del recuperato status di uomini liberi, per tutti coloro che ne erano stati indegnamente privati, e ci si sarebbe accontentati anche di una semplice retorica rabbonente circa la ritrovata socialità inclusiva e la reintegrazione degli esclusi.
E invece no, delle affermazioni più fanatiche si fa portavoce chi sostiene di aver vissuto atti indegni di una umanità civile, gesti di emarginazione, isolamento, sopruso.
Personalmente ipotizzo che una delle ragioni per le quali una donna come lei sia stata voluta senatrice a vita, sia la testimonianza che incarna, la memoria che conserva, la funzione moderatrice, di pacificazione, intermediaria di posizioni estreme. La sua presenza materializza l’esperienza, come un libro che parla o un museo che cammina.
Nondimeno, come gli altri sopravvissuti, perché Liliana non è la sola, scampata alla stessa brutale esperienza, i quali compiono generosamente tutti i giorni la meritevole opera di conservazione della storia, intrisa di emozioni, odori, immagini, suoni, vissuti in prima persona e non semplicemente immaginati.
Se viene meno questa funzione, se la si utilizza solo a garanzia di una singola categoria di individui o per un unico fatto specifico, e per tutti gli altri si salvi chi può, mi dispiace ma Liliana, e tutto quello che ella rappresenta, ha fallito.
Sicché, per quanti ancora, come il giornalista sopra, si stessero facendo la medesima domanda, ecco Liliana cosa ha fatto (beninteso non per meritare, sono assolutamente contraria a qualunque esternazione violenta, ma certamente per suscitare quelle antipatie che si porta dietro): ha tradito la sua missione, dimenticato il suo dovere, abortito il suo mandato.
Ha smesso di farsi portavoce dei più deboli, ovvero dei resi deboli da leggi ingiuste.
Ha taciuto quando era opportuno moderare e ha parlato con intolleranza quando era il caso di tacere.
Ha dimenticato le dinamiche che avrebbe dovuto raccontare, nel caso specifico, la brutalità umana che si fa maggioranza incontrastata, sulla base di ipotesi e supposizioni, non discutibili, e in manifesto conflitto di interesse mai politicamente smentito, per la marginalizzazione e repressione di una minoranza di cittadini i quali, chi per ragioni di natura politica, chi per opinioni personali o sociali, ha scelto per sé medesimo, in questo contesto, di non sottoporsi a un trattamento farmacologico dichiarato sperimentale.
Scusate se è poco.