Peccare di silenzio, quando bisognerebbe protestare, fa di un uomo un codardo.
(Abram Lincoln)
di Raffaella Regoli (giornalista di “Fuori dal Coro”)
Ho conosciuto i ragazzi del porto di Trieste una mattina del 2 ottobre del 2021. Quando arrivo in città, quel sabato, soffia ancora un leggero maestrale. Il green pass sta per entrare in vigore in tutto il Paese. L’Italia è in subbuglio.
Come inviata della trasmissione di Rete4, “Fuori dal Coro”, convinco Mario Giordano a mandarmi a Trieste. I portuali, con in testa il loro leader, Stefano Puzzer, sono infatti sul piede di guerra. Quella mattina li incontro davanti a quello che diventerà famoso come il Varco IV. Sono una ventina, hanno ancora addosso le tute da lavoro. Mi spiegano che “i fratelli del porto non possono accettare l’ ingiustizia che chi non è vaccinato, debba farsi il tampone per andare a lavorare”. E promettono: “Noi siamo la scintilla di una nuova rivoluzione”.
Il 15 ottobre, data nefasta anche per i tarocchi, in Italia, più che altrove in Europa, entra in vigore il Green pass, il passaporto sanitario per andare a lavorare. Per ottenerlo, chi non è vaccinato, deve fare un tampone rapido ogni 48 ore, ogni due giorni. Pagare 15 euro per volta.
Così all’alba di quel 15 ottobre più di 100 lavoratori, tra vaccinati e non vaccinati, decidono di non entrare in porto. Si fermano fuori, davanti al Varco IV.
Trieste diventa ben presto la scintilla di una nuova resistenza, che contagia tutta l’Italia. La gente arriva al Porto, da ogni parte del Paese, in solidarietà ai portuali. Sono i giorni della protesta pacifica. Nel week end migliaia di persone, uomini, donne, anziani e bambini, portano cibo, intonano canti e preghiere. Davanti al Varco IV sono giornate di gioia e di speranza. L’ autorità portuale dichiara: “Non abbiamo subito danni, il porto sta lavorando quasi regolarmente”. Camion e navi sono infatti state dirottate al Varco I.
Ma la tempesta è nell’aria. Se Trieste chiama, Roma non sta a guardare. Il governo è preoccupato. La protesta pacifica sta dilagando come un fuoco. Cominciano a trattare con il sindacato autonomo guidato da Puzzer, il CLPT. Se lo sciopero rientra sono invitati al tavolo delle trattative a Roma. Stefano Puzzer, temendo scontri, prima accetta. Poi capisce che è solo una tattica per farli retrocedere. E’ tormentato. Nella notte dà le dimissioni dal CLPT. Poi in accordo con i portuali e il comitato “No green pass” di Trieste, decidono di andare avanti ad oltranza. Nasce il comitato 15 ottobre. Roma non gradisce. A mezzanotte comincia a circolare la voce che lo sgombero ormai è imminente.
E’ il 18 ottobre. Porto di Trieste, ore 8:17 del mattino. Più di 30 blindati della polizia, arrivati nella notte e fatti entrare dal varco I, sbucano dall’interno del porto dal varco IV, dove i portuali, con decine di lavoratori di tutte le categorie, presidiano l’ingresso. Ci sono anche anziani, donne e bambini, arrivati da tutt’Italia per manifestare contro il green pass.
In violazione ai trattati dell’Onu, che vogliono Trieste porto franco d’Europa, il vice questore, ordina lo sgombero con la forza. Prima usano gli idranti contro i portuali e i lavoratori che sono a terra, in preghiera. I giornalisti vengono allontanati. Qualcuno decide di non filmare i portuali in ginocchio. Io no. Io resto con i lavoratori. E filmo tutto. Gli attacchi con gli idranti sono continui. E quando non arriva l’acqua, arrivano le manganellate. Alle 12, il porto non è stato ancora sgomberato. Così cominciano a spararci addosso i gas CS, i lacrimogeni.
Ci attaccano da ogni parte, l’aria è irrespirabile, tanto che siamo costretti a scappare verso il viale dei campi Elisi. Alcune persone restano ferite. Per giorni e giorni, la gola e i polmoni continueranno a bruciare per via di quel gas.
Dopo 5 ore d’ assedio, alle 13.00, il Varco IV viene liberato. Dopo l’aggressione, con i manifestanti, ripieghiamo per le vie della città, tra gli applausi e anche qualche fischio, fino a piazza Unità d’Italia. Qualcuno vuole tornare al Varco IV, ma Puzzer invita tutti all’azione pacifica, a sedersi a terra. E intona il canto che diventerà l’inno di tutte le piazze d’Italia: “La Gente come noi non molla mai”.