Questa la nostra società, perché fatta solo di propaganda.
Bolle di proporzioni mastodontiche, costruite dai “professionisti dell’informazione” e dai bottegai politici, in una commistura di soldi e pubblicità occulte.
Elementare: si costruisce il caso e si diffonde a macchia d’olio.
Come creare un sentimento collettivo in modo facile, rapido e indolore (si fa per dire).
Ed ecco un caso.
Marie Therese #Mukamitsindo, presentata nel 2018 da tutte le testate come l’alfiere della solidarietà: una donna disperata in fuga dal #Ruanda, in piena guerra civile, che arriva in Italia senza nulla, con tre figli, vive in clandestinità e miseria, si rimbocca le maniche, lavora sodo, trova la sua missione, grazie all’esperienza dolorosa, diventa imprenditrice e accoglie i migranti in fuga proprio come un tempo lo era lei. Una donna che ce l’ha fatta, e per di più nera, povera e in un paese straniero.
In poco tempo il fiore all’occhiello del settore, leggo che dava lavoro a più di 150 persone soprattutto, si specifica, italiane.
Premiata dalla #Boldrini, eternamente presente quando si parla di réclame, con il MoneyGram Award come imprenditrice immigrata dell’anno.
Il coro era unanime: viva Marie Therese, semper!
Una storia a lieto fine? Nel giro di pochi anni segue il declino, i licenziamenti, la fanghiglia e infine le indagini della magistratura. Storie di ordinaria follia.
Le stesse testate gridano allo scandalo, parlano di minori e richiedenti asilo tenuti in condizioni disagiate, senza luce e acqua, mostrano i video del parlamentare #Soumahoro, suo genero, piagnucolare come un piccolo bebè. La frase autoreplicante, “io non sapevo”, “not guilty” direbbe uno dei personaggi di Chicago.
Ma niente paura, come in quel caso, ormai la stampa pilotata e direzionata a dovere anche in Italia, oggi bercia giustizia, dignità, verità. Ma dov’erano le inchieste nel 2018?
Premettendo che
– sul caso sono in corso le indagini della procura di Latina la quale verificherà eventuali profili di rilievo penale, tra cui le ipotesi di truffa e distruzione/occultamento di materiale contabile;
– come non sia semplice gestire il rapporto tra fondi statali e amministrazione dei flussi migratori; – e che certamente qualcuno ha tirato un colpo basso al signor pigniucolone Soumahoro dopo la sbruffonata e sovraesposizione sul caso della nave Humanity1 ferma a Catania oltre alla pagliacciata degli stivali da lavoro in Parlamento a simbolo delle sue battaglie a favore dei braccianti e contro il caporalato, sempre più diffuso e spietato;
i punti su cui vorrei focalizzare l’attenzione sono: può l’accoglienza di migranti, in fuga dalla guerra e dalla miseria, essere lasciata alla discrezione e all’interesse di un soggetto privato, definito e premiato come imprenditore?
Ovvero è eticamente accettabile nella nostra società dei diritti fare profitto sulla pelle degli esseri umani?
E ancora, se la stampa non svolge il suo dovere di verificare le fonti e andare a fondo sui temi presentati da chicchessia, che differenza mostra rispetto alla pubblicità su commissione?
Su questi temi ciascuno è libero di orientarsi come meglio crede, naturalmente io scriverò sul mio punto di vista.
Quanto al primo quesito, a mio avviso, è certamente inappropriato.
L’imprenditore per definizione mira al profitto e svolge la sua attività in ottica di guadagno.
E seppur corrispondente al vero che vi sono società all’interno del nostro ordinamento, tra cui quelle cooperative, in cui lo scopo comune non sembra essere il profitto bensì lo scopo mutualistico, premiare la signora Marie Therese Mukamitsindo come imprenditrice mi sembra davvero fuori luogo.
Quanto al secondo, la differenza è nulla. Anzi, per correttezza, la pubblicità è di gran lunga più trasparente, in modo chiaro fa emergere l’obiettivo, vendere un prodotto, e il suo interessato, colui che finanzia. Non spaccia per imparziali, obiettivi e veri, perché prodotti dai professionisti dell’informazione, i contenuti redatti, salvo poi ribaltare tutto al cambiare del vento politico in maniera tanto convulsa quanto i cambi di casacca degli invertebrati partecipanti alla vita politica di questo paese.
I danni? Mentre la pubblicità rende noto, il giornalismo d’oggi, offusca non di rado la capacità di interpretazione dei fatti, ponendosi d’ostacolo alla agognata ricerca della verità, cui ciascuno tende, generando così un’immensa confusione e tensione sociale.
Certamente ciò non è sufficiente a incriminare o diffamare qualcuno – seppur la stampa non perda occasione di farlo quando ciò gli venga richiesto – qualora quel qualcuno abbia agito nel rispetto delle regole.
Certo è che una riflessione va fatta anche in questo caso.
Passare da modello di imprenditoria femminile, umana, solidale, assistenziale e caritatevole, a sfruttatrice senza scrupoli è stato poco più che un soffio: semplicemente un cambio di governo.
#informazioneindipendente #giornalismocritico